Marco

Marco Maiorano

Questo racconto è tratto da Settenotti: Anniverse. Vi siete mai chiesti: ma nelle storie, i personaggi più anonimi, che fine fanno? Se non ve lo siete chiesti, siete delle persone sane. Ma io no, quindi ho scelto di prendere un personaggio che normalmente sarebbe uno di quelli a cui non daresti neanche un nome, magari ammazzato dall’eroe vigilante di turno e dargli un background. Da dove arriva l’ispirazione dell’ambiente malavitoso? Beh dal mitico Kingpin della Marvel.

Uno in più

  “Carne da cannone. Siamo solo questo: carne da cannone.” pensò l’uomo sistemandosi il fedora perché gli coprisse il viso, chinando il capo affinché non fosse visibile alla telecamera che sapeva essere nascosta all’interno dell’insegna della bottega “Borgo Frutta”. Quelle parole gli risuonavano nel cervello dalla sera prima, quando le aveva pronunciate sua nipote Viola davanti alla tv. 5 anni, figlia di sua sorella, appassionata di castelli. Passione strana per una bambina così piccola, ma d’altronde lei era tutta particolare e lui non riusciva a dirle di no quando le faceva da babysitter, anche se sapeva che avrebbe dovuto metterla a letto non più tardi delle 10 e invece erano rimasti entrambi incollati davanti allo schermo in attesa della fine del film. Nel momento in cui l’esercito invasore stava attaccando il castello, lei aveva esclamato “carne da cannone!” in riferimento a tutti quegli uomini che, in prima fila, andavano incontro alla morte colpiti dalle cannonate dell’esercito avversario. E da quel momento non riusciva a togliersi l’idea che alla fine anche lui non fosse altro che quello.

  Bussò alla porta della bottega. Prima tre colpi veloci, poi tre colpi lenti, poi altri tre veloci. La porta di metallo si aprì e l’aria stantia di sigaro bruciato gli invase i polmoni come ogni volta. Ormai era abituato a quella sensazione, orribile per uno come lui che non fumava, ma significava solo una cosa: il suo turno stava iniziando e il sole stava calando.

  «Sei in ritardo, Nick» lo accolse un altro uomo vestito come lui. Avevano entrambi un giaccone lungo e scuro, un fedora in testa e una pistola nella fondina nascosta al fianco destro, sotto i vestiti. Quella si che la considerava il suo cannone, una Beretta APX, semiautomatica, con silenziatore e pallottole 9mm parabellum. Ne aveva modificato l’impugnatura affinché fosse perfettamente in linea con il suo stile di movimento e con la sua presa, montandoci poi sopra un piccolo mirino con laser da puntamento. Roba di lusso, modificata e rielaborata negli anni. Gli era costata una piccola fortuna, ma ne era valsa la pena.

  «Hai ragione, ma sono comunque in anticipo per stasera» disse lui entrando. Il piccolo locale era nella semioscurità, come sempre, illuminato solo da una lampadina a basso voltaggio appesa al centro della stanza. Scaffali e cestoni, ricolmi di frutta e verdura diverse, riempivano e arredavano la stanza. Qualche metro più avanti un piccolo palco di legno sollevava di una trentina di centimetri la postazione del negoziante da tutto il resto. Anche lì gli espositori di frutta non mancavano, adornando il bancone stagionato che reggeva una cassa per contanti vecchio modello.

  «Il capo è già arrivato, si aspettava di trovarti qui» disse l’altro sedendosi su una sedia alla sinistra della porta. Nick prese posto su quella a destra, allungando una mano per prendere una mela golden dallo scaffale.

  «Il capo deve imparare ad avere meno pretese» ribatté addentando il frutto. «D’altronde non può certo licenziarmi».

  «Può sempre ucciderti» ribatté l’altro sospirando. «L’ultima volta te l’ha detto chiaro e tondo: se muori, ne prende un altro».

  «Certo, perché come dice lui: sono tutti buoni a fare la guardia a una porta. Ma forse un giorno capirà che questo lavoro è molto più importante di quel che pensa».

  «Tu credi? Quello che facciamo è aprire e chiudere la porta. Non stringiamo patti, non prendiamo decisioni, non facciamo strategie. Cazzo, non siamo neanche quelli che servono da bere o reggono i cappotti»

  «Morgan ammettilo: ti sei arreso non è vero? La tua vita è questa: aprire e chiudere una porta, prendere la tua mazzetta a fine serata e tornare qui appena il capo chiama».

  «Nick cosa vuoi che ti dica? Ho passato i cinquanta ormai e che siano state giuste o sbagliate, le mie scelte le ho fatte». Morgan si prese il cappello tra le mani e iniziò a giocarci, come se stesse riflettendo sulle prossime parole da dire. «Vorrei chiederti “e invece tu che ci fai qui che hai vent’anni meno di me?”, ma in realtà la risposta già la conosco. Una volta iniziato a lavorare per il capo, o per chi come lui, l’unica via d’uscita è la morte». Nick trovò irritante quel tono rassegnato. Morgan ormai si era arreso alla prospettiva di una vita migliore.

  Bussarono alla porta. Morgan osservò i nuovi arrivati dalla telecamera sul suo smartphone.

  «Capo, è arrivato il Banchiere» disse Morgan mandando un audio con lo smartphone.

  «Può entrare» rispose una voce con un altro audio.

  Nick si alzò, inserì la chiave nella serratura e la girò per farla scattare, poi aprì la porta. Il Banchiere e i suoi due più fidati scagnozzi entrarono nel locale. Era un uomo basso, tarchiato e pelato, con il sigaro in bocca e un giaccone sulle spalle. Lo chiamavano così perché gestiva il riciclaggio di denaro sporco tramite la sua banca. Morgan nel frattempo aveva raggiunto la cassa, aveva digitato una sequenza sul tastierino e tirato la leva. Una parte del pavimento davanti al bancone si aprì e i tre uomini scesero la scalinata che si era aperta davanti a loro. Una folata di quell’acre odore di sigaro bruciato investì Nick, impegnato a chiudere la porta. Anche la botola si chiuse.

  «Ogni anno è sempre il primo ad arrivare» disse Nick sedendosi.

  «Lui è un tipo puntuale. Lo è sempre stato. In cinque anni non l’ho mai visto sforare di un singolo minuto».

  «Ma tu ci sei mai sceso lì sotto?» chiese Nick.

 «Una volta. È un locale enorme, credo che passi sotto buona parte del quartiere» disse cercando di ricordare.

  «Non trovi curioso che per un posto così grande ci sia solo questa entrata?»

 «Beh, ha anche un’uscita di emergenza, ma da quel che mi ha raccontato Jenna, è una di quelle che si aprono solo da dentro».

  Bussarono alla porta. Questa volta era il Corriere. Un uomo alto e magro, vestito elegante. Lo chiamavano così perché faceva arrivare ogni genere di sostanza illecita a chiunque, in qualsiasi parte della città e sempre con la massima discrezione. Come l’altro, anche lui era accompagnato da due sgherri e, come il Banchiere, passò dritto senza rivolgere né una parola, né uno sguardo a Nick e Morgan. Per quei pezzi grossi, loro erano come invisibili.

  «Se tutto va come gli altri anni, per l’alba sarò già a casa nel mio letto. Non vedo l’ora»

  «Quest’anno non è come gli altri anni. Il patto è scaduto e lo devono rinnovare. Secondo me scorrerà del sangue»

  «Non credo, non conviene a nessuno.» ribatté Morgan.

  «Quando hanno stipulato il patto, il due marzo di cinque anni fa, prima di arrivarci si sono sparati addosso con qualsiasi cosa. Hanno dovuto stringere una tregua solo per non perdere tutti gli uomini».

  «Ah è vero, ora che ci penso tu sei stato assunto proprio quel giorno. Con oggi sei dentro al giro da cinque anni tondi tondi e, nonostante questo, non ti hanno ancora fatto sparare a nessuno».

  «In compenso mi hanno sparato addosso più volte. Tutte perché il Capo ha questa abitudine di nascondersi dietro i suoi sottoposti».

  Bussarono ancora alla porta. Dalle telecamere videro il Pappone, un uomo basso e muscoloso, non esattamente il viscido vecchio che ci si aspetterebbe a capo del traffico di donne e prostitute del paese. Anche lui era accompagnato da due uomini e anche lui non degnò di attenzione Nick e Morgan.

  «Quello era l’ultimo» disse Morgan quando la botola si richiuse. «Da adesso in poi dobbiamo solo aspettare la fine». Si sedette comodo e poggiò i piedi su uno degli scaffali bassi, poi si avvolse nel cappotto e sembrò quasi appisolarsi. Rimase così per diverso tempo.

  Nick sentì il suono di una notifica, guardò lo smartphone e sorrise al video di sua sorella in cui Viola sbatteva le mani come fossero ali e, gonfiando le guance, faceva tremolare le labbra per simulare il rumore di un aereo. ”Ha detto che quando torni dobbiamo prendere un aereo e viaggiare insieme per vedere i castelli”. Sorrise amaramente. Riguardò il video nostalgicamente notando come, in poche inquadrature, si vedesse completamente la casa di sua sorella. D’altronde era un monolocale, anche in pessimo stato, con muri invasi dalla muffa e l’intonaco pronto a cadere dal soffitto alla minima vibrazione. Senza svegliare Morgan, rivide quel video a basso volume decine di volte, ripensando che lui in realtà era già pronto per un viaggio. In casa sua i bagagli erano già pronti, il biglietto preso e aveva venduto tutto il possibile. Aveva già rescisso il contratto dell’affitto, ma ancora non l’aveva detto a sua sorella.

  Un botto risuonò in lontananza. Poi ne seguì un altro e un altro ancora. Morgan aprì gli occhi spaventato e cercò di tornare vigile. «Cosa credi che sia stato?» chiese un po’ preoccupato.

 «Mah, saranno quelli del quartiere pagano. Mi sa che oggi festeggiano il loro capodanno» rispose Nick mantenendo una certa tranquillità.

  «Ah già, è vero, per loro è a marzo. Effettivamente è mezzanotte».

 «Dovremmo festeggiare con loro. Vuoi una mela?» disse Nick prendendone una dallo scaffale vicino e addentandola.

  «Ma si dai, effettivamente ho un po’ di fame»

  «Morgan, io mi sono stancato di questa vita»

  «Ma è l’unica che hai. E ormai è andata così. Cosa vuoi fare, ammazzarti?»

 «No no, è che da cinque anni siamo qui, sempre io e te, ogni maledetta volta che ci chiama e ogni maledetto due marzo. Apriamo e chiudiamo la porta; apriamo e chiudiamo la botola. Mi sento fermo, bloccato. Mi sento prigioniero» disse Nick con un tono quasi lamentoso. Era come se stesse cercando di giustificarsi per qualcosa.

  «Questo è un lavoro semplice: apri e chiudi la porta. Per il resto del tempo te la cazzeggi al cellulare. E si, ogni tanto ti sparano addosso perché il nostro Capo non si fa problemi a usarti come scudo umano. Ma ehi, sarà successo tre volte in cinque anni. Alla fine il giubbotto antiproiettile lo metti per quello sotto la camicia, no? Cos’altro vuoi?»

  «Voglio essere libero. Tutto qua».

  «Per quello devi aspettare di morire»

  Un’altra notifica apparve sul display di Nick. La guardò fugace, giusto il tempo di leggere il contenuto del messaggio: “Via”.

  «Se lo dici tu. Però sai una cosa: secondo me sia il nostro Capo che tutti quei boss che ci sono passati davanti senza neanche calcolarci, si sono dimenticati l’importanza di quegli uomini che aprono e chiudono la porta. Perché è vero, magari non saremo lì a stringere patti, elaborare strategie e neanche a reggere i cappotti, ma possiamo prendere decisioni» disse alzandosi e avvicinandosi alla cassa.

  «Che intendi dire?» chiese Morgan preoccupato, mentre Nick digitò la sequenza e tirò la leva per aprire la botola.

  «Intendo dire che il bello di essere l’uomo che apre e chiude la porta, è che sono anche quello che può decidere di lasciare la porta aperta».

  Si sentirono degli spari oltre la parete, all’esterno. Qualcuno era morto. La porta si aprì senza sforzo e  un gruppo di uomini armati fece irruzione. Erano in tenuta mimetica, equipaggiati di tutto punto e con i visori a infrarossi. Il primo di loro, dando una rapida occhiata ai due che si trovò davanti, si girò verso Morgan, gli sparò in testa e seguito dagli altri uomini corse giù per la scalinata oltre la botola. Le luci si spensero, qualcuno aveva sicuramente tagliato i fili del contatore. Da quel momento in poi Nick riuscì a vedere solo grazie all’illuminazione stradale, la cui luce entrava dalla porta spalancata.

  Arrivarono decine di uomini, in una fiumana di soldati che Nick non si sarebbe mai aspettato. Rimase fermo immobile vicino alla cassa, fissando il corpo dell’amico con il quale chiacchierava fino a qualche minuto prima. Morgan adesso era libero.

  Quando tutti gli uomini varcarono la botola, entrarono gli ultimi tre. Quello al centro si fermò e fissò Nick, poi fece un segno con la mano e i due uomini proseguirono per la botola.

  «Sei stato molto utile» disse l’uomo rimasto fermo all’entrata. Era alto, muscoloso, con il volto nascosto da un casco a infrarossi. Era conosciuto come l’Armaiolo, il boss a capo del traffico di armi, che presto, probabilmente, sarebbe stato a capo di tutti i traffici. «I tuoi soldi sono in una borsa all’interno dell’auto rossa parcheggiata all’angolo».

  «Mi assicuri che non mi seguiranno?» chiese Nick senza muovere un passo. Spari e smitragliate provenivano dal locale sottostante, nella totale oscurità.

  «Abbiamo fatto saltare in aria la loro uscita di sicurezza. Tra poco non ci sarà più nessuno che vorrà inseguirti». Quando finì la frase, l’Armaiolo scese per la botola.

  Nick si avvolse nel cappotto, uscì dalla porta e raggiunse l’auto rossa. I soldi c’erano davvero. Quasi non ci credeva. Si aspettava che l’Armaiolo lo uccidesse per non pagarlo o che cercasse di fregarlo in qualche modo e invece no. In giro si diceva che l’Armaiolo manteneva sempre la parola data. Era vero.

  Cinque giorni dopo una notifica arrivò sul cellulare della sorella di Nick. Era una mail con allegati due biglietti aerei per la Scozia. Come avesse fatto il fratello ad avere quei soldi, la donna non voleva saperlo. Dopo essersi sentita con Nick fece i bagagli e, prendendo per mano Viola, salì sul bus diretto all’aeroporto.

  «Zio gli aerei sono bellissimi!» esclamò Viola correndo tra le braccia di Nick. Era il suo primo volo.

  «Io non so che hai fatto, ma mi sembra di capire che adesso ti sei sistemato» disse la sorella.

  «Mi sono sistemato io e ho sistemato anche te. Con i soldi dell’ultimo lavoro ho preso una casa qui, in periferia. Dalla finestra si vede un castello enorme»

  «Lo andiamo a visitare?» chiese Viola speranzosa.

  «Certo, ma prima non vuoi vedere casa nuova?» La bambina annuì felice.

  «Non voglio sapere quello che hai fatto per avere questi soldi» sussurrò la sorella a Nick. «Dimmi solo se hai dovuto uccidere qualcuno».

  «Io non ho ucciso nessuno». La sorella lo guardò attentamente negli occhi. Capì che le stava nascondendo qualcosa, ma al contempo le sembrava sincero. Decise che andava bene.

  «Qui avremo una vita diversa. La casa è spaziosa, abbastanza per tutti e tre e le stanze non puzzano di muffa. Dobbiamo solo ricostruirci la vita».

  La donna fece salire Viola in auto, mentre Nick caricava i bagagli. Quando anche l’uomo salì per mettersi alla guida, la donna sospirò. «Ricostruirsi una vita… lo dici come se fosse facile. So che non lo sarà, ma cercheremo di farcene una migliore. Grazie».

  Mettendo in moto e uscendo dal parcheggio dall’aeroporto, Nick osservò un aereo decollare. Si sentì più leggero, pronto a ricominciare. Ora poteva essere quello che voleva. Ora era libero.

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